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Per Aspera Ad Veritatem n.12
Napoleone, l'imperatore delle spie

Andrew. D. ROGERS



Napoleone portò allo spionaggio quel che v'era di matematico, di tecnico, di scientifico nella sua personalità e nella sua preparazione militare.
Fu, come abbiamo appena accennato, il primo condottiero che innalzò il Servizio Segreto al rango di Arma. Gli ufficiali e i soldati che operavano nelle file dello spionaggio militare napoleonico non erano spie, ma solo ufficiali e soldati cui erano stati affidati una missione particolare, un compito delicato, un lavoro pericoloso.
Le qualità, che per prime hanno creato intorno a Napoleone una fama destinata a tramutarsi ben presto in leggenda, sono certamente la sua rapidità di manovra, la sua costante intuizione precisa del punto da attaccare e la scelta perfetta del momento più adatto per l'attacco.
Qualità che, analizzate in base alle nozioni specifiche acquisite sull'uomo Napoleone, portano a una sola conclusione: o Napoleone aveva un dono divino di preveggenza, oppure vi era qualcuno che vedeva per lui di là delle linee nemiche.
In effetti era così, ed è l'indagine utile per giungere a questa conclusione che ci rivela la più alta virtù militare di Napoleone: il suo aver compreso che la conoscenza a priori del dispositivo avversario, del comandante nemico, del suo morale e dei suoi armamenti equivale ad aver già vinto a metà la futura battaglia. In altri termini il grande Corso sapeva sfruttare alla perfezione il Servizio Segreto che con attenta cura era riuscito a creare, articolandolo secondo i suoi desideri.
La campagna d'Italia, da lui combattuta per conto dell'infrollito Direttorio parigino, nella sua concezione generale, nella sua evoluzione e nella applicazione pratica sul terreno è la prima operazione militare di Napoleone in cui il Servizio Segreto gli abbia permesso una geniale vittoria.
Allorché partì dai Quartieri francesi con le truppe che il governo di Parigi gli aveva assegnato per quella campagna, Napoleone sapeva benissimo di avere tra gli effettivi centomila uomini in più di quanti risultavano dall'organico. Nella realtà questi centomila uomini erano invisibili, non erano armati, non gravavano sulla sussistenza e non avevano né nomi né volti. Essi si condensavano in sole cinque spie, in cinque agenti segreti che, inviati in precedenza dal Corso a studiare nei più minuti particolari il nemico da combattere e da vincere, avevano reso al comandante quanto sul campo di battaglia avrebbero potuto rendere centomila soldati.
A ognuno di quei cinque agenti fu assegnato, al momento della partenza per l'Italia, un compito ben preciso, su cui occorreva lavorare in fretta, ma in modo perfetto. Le domande alle quali avrebbero dovuto rispondere esaurientemente al loro ritorno erano queste:
- quanti chilometri di strada potevano percorrere le truppe austriache in un'ora, con determinate divise e buffetterie, in condizioni normali di terreno; quanti sul terreno fangoso, campestre o collinoso;
- quali erano i difetti e i pregi dell'armamento leggero austriaco; quali erano gli impedimenti, causati dal loro equipaggiamento, che i soldati avversari trovavano nei loro movimenti;
- dove erano ubicati i campi di foraggio della cavalleria, come erano difesi, come vi si accedeva;
- quale era il tono morale e la volontà combattiva dei reparti austriaci, quali i reggimenti più sicuri e quali i meno;
- quale era la formazione dello Stato Maggiore avversario, quali le invidie e le gelosie tra gli ufficiali che lo componevano e quali le capacità dei più elevati in grado e le loro ambizioni.
Solo quando ottenne dai suoi cinque agenti risposta a queste domande, Napoleone lasciò gli accampamenti francesi e scese in Italia. Le risposte avevano arricchito la sua Armata di quei centomila uomini, che si rivelarono i più pericolosi, i più efficienti, i veri artefici della vittoria.
Il 12 aprile del 1796 a Cairo Montenotte Napoleone attaccò infatti, sapendo perfettamente quali sarebbero state le manovre avversarie e come avrebbero reagito i generali nemici, Bealieu e Colli.
Egli poteva prevedere con certezza che i comandanti avversari avrebbero commesso determinati errori abituali in loro e fu appunto sfruttando tali errori che poté aprirsi quasi subito la strada verso la piana di Alessandria.
Il 13 aprile, operando secondo le informazioni ricevute, si incuneò con le sue "punte" di manovra nelle congiunture delle truppe austro-piemontesi a Millesimo sulla Bormida e le tagliò in due tronconi.
Conseguentemente gli fu facile costringere l'austriaco Privitera e il piemontese Colli a combattere due battaglie separate nello stesso momento senza collegamenti tra loro e senza unità di comando. Per lui si trattò invece di una manovra sola articolata in due movimenti previsti e studiati, mentre all'opposto il dover combattere due battaglie separate generò nel nemico quel caos, quella confusione e quello smarrimento che lo costrinsero alla resa.
Episodi del genere nella vita militare di Napoleone si contano a decine. Dalla più piccola alla più grande ogni sua battaglia fu un capolavoro di preparazione e di studio sulla carta, nel quale capolavoro lo spionaggio ebbe sempre un merito essenziale, in quanto esaminava in anticipo i problemi da risolvere e forniva i dati per tale risoluzione.
A precedere le sue avanguardie Napoleone inviava piccoli nuclei di agenti segreti abilissimi, che osservavano il terreno come esploratori meticolosi, studiavano i capi come osservatori politici, indagavano tra i soldati come militari, prendevano nota della situazione economica e degli approvvigionamenti del nemico come pratici commissari di governo e raccoglievano nell'àmbito delle caserme, nelle campagne e ovunque, come pettegole, curiose comari ciarliere, ogni genere di notizie.
Furono sempre queste preavanguardie a gettare le basi di ogni sua vittoria e di ogni suo successo. Il Servizio Segreto fu la sua unica e vera arma segreta, l'arma che sconvolse i piani dei nemici, che capovolse le loro previsioni e che condusse il condottiero còrso sul punto di dare corpo al più grande impero dopo quello romano.
Per l'intima sostanza della dittatura, per le sue necessità vitali sorse quasi con moto spontaneo intorno a Napoleone un Servizio di sicurezza, che ben presto e sotto abili mani si trasformò nel più perfetto strumento segreto di informazioni politiche e militari e nel più funzionale apparato invisibile di protezione.
Quando Napoleone tornò vincitore a Parigi, la grande città francese rigurgitava di uomini animati dalle più disparate passioni politiche, provenienti da tutti gli angoli d'Europa e da tutti i ceti sociali.
Tra costoro erano soldati, patrioti esuli, monarchici, disertori, stranieri tutti contrari al Buonaparte. Taluni di questi uomini costituivano un gruppo operante agli ordini di un tale Hyde de Neyville, gruppo che aveva come obiettivo la morte violenta e immediata del Primo Console.
Napoleone durante il periodo del Consolato era scortato al massimo da tre suoi ufficiali, così che i cospiratori pensavano che sarebbero facilmente riusciti nel loro intento senza molti rischi. Un primo attentato tuttavia fallì per merito di un "certo" Fouché, destinato più tardi a passare alla storia come «la bestia nera della Francia», secondo la definizione di un diplomatico russo.
Acquisitosi il merito di avere salvato la vita al Primo Console ed entrato nelle grazie di questi, per difendere il suo Capo, Fouché organizzò in breve volgere di tempo il più perfetto Servizio Segreto che mai fino a quel momento si fosse avuto in Europa. In soli due anni egli creò ben sei diversi Servizi Segreti: uno alle sue dirette dipendenze, quale ministro di polizia, un secondo collegato con la Gendarmeria nazionale, un terzo agli ordini del Prefetto di Parigi, un quarto collegato con la Guarnigione militare, un quinto autonomo e operante agli ordini di ufficiali specializzati della "Maison Buonaparte" e infine un sesto ancóra, autonomo, inserito nel Ministero degli Affari Esteri.
Proprio in quel tempo fiorì a Parigi la prima "Agenzia indipendente" di spionaggio per conto terzi. La brillante idea fu di un avventuriero francese fuggito a Londra, il conte d'Antraigues. Costui, appena passata la sferzata della Rivoluzione, fece ritorno a Parigi, dove aprì un'agenzia abilmente camuffata sotto una etichetta commerciale, attraverso la quale vendette all'Austria, alla Russia e all'Inghilterra senza distinzione di sorta ottime informazioni diplomatiche, politiche e militari.
Le sue fonti di informazioni erano quanto mai valide e attendibili. Figuravano tra i suoi agenti i fratelli Simon, funzionario al Ministero della Guerra l'uno, agli Affari Esteri l'altro; un terzo validissimo informatore del d'Antraigues fu tale De Michel, che per ben dieci anni, e cioè fino al 1812, poté leggere quanto veniva trascritto su un diario privato di Napoleone intitolato: Stati della situazione.
Questo diario era addirittura un bollettino a uso esclusivo del Buonaparte sulla reale situazione politica, economica e militare della Francia.
Le notizie di De Michel, che l'agenzia inviava esclusivamente alla Russia per precisi accordi raggiunti, non vennero mai prese in considerazione, né quindi studiate e vagliate a dovere. Solo per colpa dei Russi e della loro incredulità De Michel non può essere oggi considerato la spia più abile, più efficiente e più astuta di tutti i tempi. Di lui ormai solo pochissimi ricordano appena il nome.
Esigente e metodico Napoleone pretendeva dai suoi agenti il massimo rendimento. Essi dovevano arrivare là dove nessuno prima di loro, nell'esercizio di identica professione, era mai giunto.
Un suo agente segreto, un elegante e abile ufficiale di cavalleria, ebbe a esempio l'incarico di individuare con quale cortigiana Alessandro, autocrate di Russia, soleva trascorrere la notte prima della battaglia. L'agente riuscì a intrufolarsi a Corte e ben presto, individuata la donna, la trasformò in una delle più valide informatrici di Napoleone.
Poiché Buonaparte aveva necessità di controllare tutte le Corti, tutti i Governi e tutti gli Stati Maggiori d'Europa, ben presto uno stuolo di stupende donne francesi riuscì a varcare le soglie di quegli austeri palazzi. Affascinanti, poliglotte, seducenti, intelligenti, discrete, esse stesero una delicata e profumata rete invisibile dentro cui gli avversari dell'imperatore venivano tenuti sotto controllo, a piacimento dello stesso.
Napoleone, profondo conoscitore della psicologia femminile, ben sapeva quali mirabili cose sanno fare le donne, quando vogliono giungere a determinate mete o quando accettano di espletare una missione.
Tra i tanti agenti segreti Napoleone ebbe ai suoi ordini colui che nel suo tempo venne definito "il Napoleone delle spie". Fatto singolare è che tale definizione venne coniata dallo stesso Buonaparte a onore dell'agente, che si chiamava Karl Schulmeister.
Nato a Strasburgo nel 1770, già audace e spericolato contrabbandiere, uomo abile, deciso, senza scrupoli, Karl Schulmeister sta alla pari con le maggiori figure di spie apparse sulla terra in tutti i tempi.
Karl, figlio di un pastore protestante, gestiva un negozietto di generi alimentari, ma difficilmente avrebbe fatto fortuna se l'Alsazia non fosse stata una ricca provincia di frontiera.
Il contrabbando era una professione ideale per guadagnare molto denaro e in tale attività Karl investì tutti i suoi risparmi. Ben presto raggiunse notorietà e fama tra il popolino di uomo spericolato, astuto e geniale. Un generale di Napoleone, Savary, che aveva il compito di "scoprire" uomini abili, sentì parlare di questo singolare droghiere e, avvicinatolo, riuscì ad arruolarlo nelle file della sua organizzazione.
Il generale Savary aveva fatto senza saperlo un ottimo acquisto. A Karl Schulmeister, secondo gli storici e i biografi del Corso, fu affidato dopo un certo tempo di acclimatazione una delle missioni più delicate e pericolose che possono capitare in sorte a una spia: la cattura di un capo nemico, di una potente personalità ribelle. Schulmeister doveva consegnare a Napoleone il Duca D'Enghien, rifugiatosi in Germania dopo il suo gesto di rivolta.
Il contrabbandiere preparò il suo piano alla perfezione. Sapeva per informazioni ricevute che il giovane duca era follemente innamorato di una giovinetta francese di Strasburgo; senza por tempo in mezzo fece rapire e trasportare la fanciulla in una campagna dell'Alsazia meridionale a pochi passi dalla frontiera tedesca. Indi, falsificando una lettera della ragazza stessa, fece sapere a D'Enghien che la sua donna era in pericolo e aveva bisogno di aiuto.
Il duca - come Schulmeister aveva previsto - si comportò da perfetto amante: balzò su un cavallo e, portando seco una borsa piena d'oro, si diresse verso la casetta indicatagli nella lettera. Ancor prima che riuscisse ad attraversare il confine fu catturato dagli uomini dell'agente di Napoleone. Pochi giorni dopo l'Imperatore a seguito di una parvenza di processo, lo fece fucilare, compiendo con ciò un'azione che la storia ancor oggi non è riuscita a giustificare.
Per aver portato a termine questa missione delicata e difficile, Schulmeister fu presentato a Napoleone dal Savary con queste testuali parole: «Ecco un uomo, Sire, tutto cervello e senza cuore ai Vostri ordini».
Con questa solida base Karl Schulmeister si accinse alla più grande impresa di spionaggio che fosse mai stata compiuta fino a quei tempi dalle origini della storia: diventare capo del Servizio di Informazione militare della coalizione avversa a Napoleone.
Trasferitosi a Vienna, egli si presentò come profugo ungherese, nemico di Napoleone e desideroso di agire contro i francesi. Si recò al Quartiere Generale alleato e offrì le sue informazioni al maresciallo Mack, capo supremo della coalizione. Erano notizie genuine quelle che offriva, facilmente controllabili e appena ritoccate, per cui ben presto tutte le porte gli si aprirono dinnanzi ed egli ottenne la più ampia fiducia, riuscendo anche abilmente ad accattivarsi la simpatia dei generali.
Dopo meno di un anno il "nobile ungherese" spia di Napoleone venne nominato capo del Servizio Segreto austriaco, caso assolutamente senza precedenti.
Napoleone ebbe in tal modo occhi e orecchi attentissimi nel cuore stesso dello Stato Maggiore avversario.
Nessun particolare della diabolica messa in scena fu trascurato. Lettere di profughi, giornali clandestini francesi e messaggi di richieste di aiuto giungevano a Schulmeister da ogni parte, così da accreditarlo sempre di più. Messaggi, lettere e richieste che avevano anche un altro scopo, quello di dipingere agli Austriaci una situazione francese non corrispondente a verità, indicando un indebolimento dell'Imperatore, uno stato di malcontento, un probabile ammutinamento delle invitte Armate e una stanchezza generale.
Lo Stato Maggiore austriaco cadde nella trappola sottile e sconcertante. Quando Mack, fidando su quelle informazioni false, si diresse verso Occidente per attaccare le truppe francesi in ritirata, si trovò dinnanzi improvvisamente il miglior esercito francese avanzante verso Oriente. Tre armate lo circondarono nei pressi di Ulm e non vi fu neppure una vera battaglia grazie ancora a Schulmeister, che nella sua qualità di Capo del Servizio Segreto intervenne, consigliando al generale austriaco una ritirata "strategica", che permise a Napoleone una facile e clamorosa vittoria.
La stessa luminosa vittoria di Austerlitz fu il risultato del lavorio di Schulmeister il quale, operando nei più alti comandi austriaci, fece sì che si adottassero i piani strategici fattigli pervenire dallo stesso Napoleone.
Ad Austerlitz fu annientata la Grande Alleanza e debellato Pitt. Mai nella storia militare fino a quel momento l'opera di una singola spia aveva così radicalmente alterato l'andamento degli eventi bellici. Solo nella guerra 1939-45 si trovano due consimili esempi: Cicero e Sorge.
La rapida avanzata francese su Vienna impedì la cattura e la condanna di Karl Schulmeister, che era stato scoperto.
A titolo di ringraziamento Napoleone fece inviare una grossa somma all' "Imperatore delle Spie" e al Generale Savary, che chiedeva per Schulmeister la Legion d'Onore, rispondeva: « Oro, questo è il solo compenso per quel tipo di spie ».
Napoleone con questa frase intese chiarire e riaffermare il suo concetto sulla netta distinzione morale e materiale tra agenti segreti e spie prezzolate. I primi erano militari e di tale qualifica avevano tutti gli onori e gli oneri; le seconde, gente prezzolata, anche se abile, devota e sincera, erano solo individui per cui il danaro, sia pure in quantità notevole, doveva essere l'unica ricompensa.
Ben presto l'antico contrabbandiere alsaziano, divenuto ricco, assunse la carica di Capo della Polizia nell'Austria occupata e di Capo del Servizio Segreto politico francese.
Dopo alterne vicende, processi, condanne e anni di prigione inflittigli dagli Inglesi e dagli Austriaci vittoriosi, egli, sempre devoto a Napoleone - rarissima eccezione per un uomo del suo stampo e della sua attività - morì nel suo letto a 83 anni d'età. Per tutta ricompensa, dopo le sue disgrazie, alla fine delle guerre napoleoniche il Governo francese, come ai vecchi soldati, gli aveva concesso una rivendita di tabacchi a Strasburgo.


(*) Da "Rapporto sullo spionaggio (dal 2500 a.C. a oggi)" di Andrew. D. Rogers, Ed. Moderne, Roma, 1959

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